Non sono un fotografo, tantomeno un fotografo a servizio di una macchina o di un obiettivo. Anche se, anche io, come voi, come molti di noi, ho i miei feticci e le mie schiavitù. Nutro gli archetipi perché ringhino agli stereotipi. Qualche anno fa varcai per la prima volta la porta del Circolo Fotografico Triestino con un grande interesse sulla spalla sinistra e una grande domanda nella mano destra: che senso ha la fotografia? Uscii con una pila di libri che aveva in cima Calvino e in fondo Fontcuberta (e detto tra noi...non potrò mai più fotografare un tramonto).
Alla fine capii che il senso era il mio e mi sentii un piccolo demiurgo. Lo avrei definito. E costruito. E inseguito. E poi lo avrei lasciato andare. E avrei ricominciato da capo, per non tornare indietro. E poi avrei giocato. E avrei anche fatto dei pensieri profondi, magari sul senso della vita. Ah, quante banalità. Ma in fondo, che importanza ha? Ti piacciono le storie? A me si! Non scatto mai una sola fotografia né fotografo a caso. La mancanza di controllo cosciente non significa che dietro non ci sia un piano. Anzi, solitamente è talmente forte da rivelare in un secondo momento le sue gemme.
La fotografia è un modo per sognare, per scrivere una trama e inventare dei personaggi, per leggere un periodo o un istante o per scriverlo e poi riscriverlo da capo. E' un modo per giocare, anche con leggerezza e riflettere sulle questioni più disparate. Un modo per restituire una storia come un'altra alla storia.
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Andreea Sava
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